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Articolo n° 2090 del 19 Luglio 2006 delle ore 13:20

Teatro Verezzi: in prima nazionale “Il custode”

Borgio Verezzi. Al Festival Teatrale di Borgio Verezzi, questa sera e nelle serate di domani e dopodomani, andrà in scena in prima nazionale “Il custode” di di Harold Pinter. Tra gli interpreti Giacomo Rizzo, Maximilian Nisi e Paolo Sassanelli. Regia di Pierpaolo Sepe. Scritto nel 1960 “Il custode” ritrae il gioco a tre di due fratelli e di un vecchio barbone, ospite inaspettato nella loro stanza, e contiene in sé molti temi cari a Pinter, rendendolo uno dei suoi testi più rappresentati e rappresentativi: due fratelli molto diversi tra loro ma legati da strane, indissolubili consuetudini; un ambiente chiuso, protettivo e soffocante; un intruso. Anche il procedere dell’intreccio configura una sostanza di temi tipicamente pinteriana attraverso una memoria costruita e decostruita da parole pronte a smentirsi da sole e l’emergere progressivo di una disperazione umana attraverso diverse forme di paura. L’investigazione possibile è quella sulle identità sospese e sugli stati più disperati della condizione umana. La verità è parola priva di significato, scarnificata da un gioco impazzito di racconti, invenzioni, e storie di vita passata. Indefinito lo spazio, chiuso ma reso non consueto da una moltitudine di oggetti, e indefinite restano le relazioni, anch’esse dalla materia inafferrabile e dal disegno impreciso. E l’immancabile minaccia esterna, in parte incarnata nel vecchio Davis, ma sempre ossessivamente presente, comprime i sentimenti storcendoli come uno specchio del luna park. E nella trama larga e distorta tracciata dall’isolamento e dal sospetto, l’esercizio del potere si manifesta attraverso la parola, pronta alla violenza e alla prevaricazione. Ogni idea di fuga, concreta o anche solo sfiorata, non è possibile, e la sopravvivenza è un muro che si sgretola invisibilmente sotto i nostri occhi. L’aria corrotta sembra essere l’unico ossigeno possibile, eppure qualcosa di sotterraneo suggerisce che non è necessariamente così. In questa broda mista di sollecitazioni ora dichiarate, ora più sommesse, la chiave è forse la lotta tra la vecchiaia e la giovinezza, la disputa misera e disperata tra chi con la violenza cerca di conquistare una casa, simbolo di collocazione sociale e quindi di affermazione e serenità, e chi stupidamente crede che la vita sia collezione di cose, e che vede con insipidi e troppo verginali occhi una realtà moribonda. É la lotta tra chi nei tanti anni passati non ha costruito niente, e chi ignora che non è con la conservazione che si conquista il proprio se stesso. Meschinità o no, inganni o certezze, i tre personaggi lottano senza sapere dove andare. “La forza dell’uomo sta nel sapere dove andare nel momento cruciale, nel momento in cui tutto sembra perduto”. Anche un letto arrangiato e polveroso, anche la compagnia di uno sconosciuto, ma non per questo meno umano, diventa una dimora cui aggrapparsi. Perciò il senso di quella lotta, quella tra la vecchiaia e la giovinezza, trova espressione nella paura, nell’abbandono, e nella rabbiosa e accecata invenzione di un proprio io che possa sopravvivere al confronto con l’altro.


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